L’interesse per la Procreazione Medicalmente Assistita mi toccò per motivi soggettivi anziché soltanto clinici o teorici: con mia moglie, svolgemmo vari tentativi di fecondazione assistita. Non è questo il luogo in cui narrare queste vicende. I nostri figli nacquero comunque, poi, senza la PMA.
La procreazione che prescinde oggi dal sesso apre degli interrogativi. Una frase di D. Laurent, nella presentazione del Congresso mi ha colpito: “se la psicoanalisi non può essere lo strumento del conservatorismo sociale […] non può sottoscrivere tutte le aberrazioni del desiderio”[1].
“La fabbricazione dei bambini”[2] lascia intravedere l’eventualità di farli divenire un nuovo oggetto commerciale disponibile nel mercato neoliberista. Con le forme di biotecnologia, senza sessualità, accedono alla procreazione due donne, due uomini tramite la maternità surrogata, single che generano un figlio grazie a un donatore, donne che divengono mamme con lo sperma del marito post mortem. Mi focalizzo su queste ultime due situazioni, monogenitoriali, nelle quali il bimbo viene cresciuto da un soggetto anziché da una coppia.
Nella recente serata dal titolo Acces à la PMA: Jusq’où? con J.-C. Maleval, altri colleghi e tre clinici ospedalieri che lavorano in Centri di conservazione di ovuli e sperma umani, Anne Guivarc’h ha parlato appunto delle richieste di PMA da parte di donne single le quali ipotizzano di costruire un legame affettivo dopo la nascita del figlio oppure che domandano la fecondazione tramite il seme del marito post mortem.
La domanda che ho posto, cui avevo accennato anche nella serata preparatoria con D. Cosenza organizzata dalla segreteria SLP di Milano, concerne le eventuali implicazioni del desiderio di genitorialità di una persona da sola. Evidentemente, il desiderio è singolare, l’essenziale è “un desiderio che non sia anonimo”[3] a prescindere dai legami instaurati, ogni situazione ha la propria specificità e il significante del Nome-del-Padre supera le persone concrete. “Bisogna essere in tre per amare e non due soltanto” – affermava Lacan[4]. Tuttavia, l’Uno non è il molteplice: la posizione di chi intende costruire una famiglia a priori monogenitoriale non ci pone dei problemi etici? Quando si sollevano dei dubbi di questo tipo, si rischia spesso di venire considerati retrogradi e reazionari. Eppure credo si tratti di domande legittime.
Vi è una questione di limite, per parafrasare il titolo italiano del più famoso libro di Judith Butler[5]. Limite che non è senza nessi con la legislazione di ogni singolo stato e con l’interpretazione più o meno rigida, più o meno estensiva, delle leggi stesse.
Iniziamo dalla posizione della mamma single. A questo proposito, basti constatare la differenza fra Italia e Confederazione Elvetica. In Svizzera ho avuto modo di incontrare mamme single ben legittimate dalle normative locali, specialmente quando adottano figli in nazioni straniere; l’adozione singola risulta possibile se chi adotta ha almeno 28 anni e se la differenza d’età fra adottante e adottato è compresa fra 16 e 45 anni. In Italia, invece, la legge 184/1983 prevede l’adozione singola soltanto in casi molto particolari come indicato nell’articolo 44: per esempio, per un minore orfano di entrambi i genitori e anche disabile. Al momento, in Italia la legge non permette la fecondazione per donne single; tuttavia, abbiamo contezza di alcune italiane che l’hanno compiuta all’estero. Questo ci ricorda una frase di Lacan: “C’è un solo padre reale, lo spermatozoo”[6]. La paternità implica sempre il registro simbolico che oltrepassa le persone concrete di mamme e papà. Per esempio, tradizionalmente vi erano le cosiddette ragazze-madre; si tratta tuttavia di una dinamica dello stesso ordine?
Infine, scriviamo della fecondazione post mortem, anch’essa vietata in Italia. La legge spagnola ammette la fecondazione assistita di una donna che intende divenire madre, in presenza del consenso del padre del nascituro, fino a un anno dopo il decesso di costui. Riportiamo allora un evento significativo. Una donna italiana partorì una bimba, alcuni anni or sono, in Spagna, appunto secondo le regole della fecondazione post mortem. Rientrata in Italia, si recò all’Ufficio Anagrafe per registrare la bambina con il cognome del padre: tale atto le venne negato. Fece ricorso contro tale decisione alla Corte d’Appello di Ancona ma la sua istanza venne rigettata. Si rivolse allora alla Corte di Cassazione la quale emise la sentenza n. 13000, in data 15 maggio 2019. Questa controversa sentenza risulta importante: un bambino nato a seguito di un intervento di PMA dopo la morte del padre, secondo la classica formula del diritto di famiglia che pone in auge “il supremo interesse del minore”, ha diritto al cognome paterno. Qual è lo statuto del padre in queste situazioni inusuali? Se il padre cui rimane poco da vivere decide di donare il proprio seme, compie probabilmente un atto d’amore verso la partner. Atto che rischia di volgersi in capriccio materno, se non si pone un limite al desiderio della madre. Questione di limite, dunque.
Fotografia: © Danloy Céline – https://vagalamonline.com
[1] Laurent D., Le désir d’enfant à l’heure de la science, Letterina, Bulletin de l’ACF Normandie, 63, giugno 2014, p. 28.
[2] Ansermet F., La fabbricazione dei bambini. Una vertigine tecnologica, Magi, Roma, 2021.
[3] Lacan J., Note sur l’enfant, Autres Ecrits, Seuil, Paris, 2001, p. 373; tr. It: Nota sul bambino in Altri Scritti, Einaudi, Torino, 2013, p. 367.
[4] Lacan J., Il seminario. Libro VIII. Il transfert, Einaudi, Torino, 2008, p. 147.
[5] Butler J., Gender trouble. Feminism and the subversion of identity, Routledge, 1990; tr. It.: Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità, Biblioteca Universale Laterza, Bari – Roma, 2017.
[6] Lacan J., Le Séminaire. Livre XVIII. L’envers de la psychanalyse, Seuil, Paris, 1991, p. 148; tr. it: Il seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 2001, p. 157.